giovedì 26 agosto 2010

metti la luna in una notte di fine agosto


Succede che uno non pensa mai seriamente al posto in cui vive.
Queste ultime sere d'agosto sono sere di bilanci di viaggi, di vacanze, di luoghi più o meno lontani. Sere in cui godi dell'arietta che preannuncia l'autunno e pensi ad angoli di mondo da cui sei appena tornato, in cui hai vissuto un momento di vita o in cui speri di viverne uno in futuro. E di giorno hai il tuo presente ad occuparti i pensieri, ci sono le contingenze a cui pensare. Impegni, scadenze, incontri o anche solo banali pasti e conversazioni che occupano lo spazio della tua mente e della tua vita. Gli affetti, gli amori. I piccoli dissapori che paiono imprese eroiche da affrontare.
Sullo sfondo questa piccola Italia di provincia, che silenziosa e discreta a volte, invadente e chiacchierona altre, accompagna la tua vita.
Poi una sera succede che invece della macchina esci in vespa. E percorrere quei pochi chilometri così famigliari diventa un viaggio che non t'aspetti.
Le colline e la luna. Le case, i cortili. I paesi, illuminati come da candele, guardano a basso e segnano con la loro luce i confini del nostro angolo di mondo. Succede che a osservare la nostra terra, così scontata, così maledettamente carica di difetti umani, sembra che il presente possa non esistere. Che quella luna valga la pena di guardarla con occhi diversi, così che possa alleggerirti l'anima.
E allora quei pochi chilometri percorsi con il vento in faccia, con le colline, le vigne, i frutteti e i boschi, ti ricordano un presente vissuto su uno sfondo che riempe di bellezza gli occhi e addolcisce il cuore.
Ed è dolce pensare che ovunque la vita possa condurti, quello sfondo sarà lì ad aspettare il ritorno del tuo sguardo desideroso di una famigliare consolazione.

P.S: la foto è stata scattata da mio fratello, Alberto Grasso, dalla collina di Magliano Alfieri

martedì 24 agosto 2010

Fantozzi Subisce Ancora (1983) Le Migliori Scene



Mai, come in questo periodo della mia vita, mi sono sentita tanto vicina al ragionier Fantozzi...

sabato 14 agosto 2010

un nuovo mattone


Il mio ultimo post risale al 30 aprile!
Ed effettivamente da più o meno quei giorni la mia vita è stata un bel casino... troppe cose a riempire le mie giornate per pensare a qualcosa da buttare giù, da tirare fuori.
E ora, dopo 7 giorni in giro con i miei ragazzi sulla via Francigena sono tornata. Non è stata una route facile, ma comunque mi/ci ha dato molto e molto ci ha insegnato, per prima cosa che organizzare, a volte è un esercizio totalmente inutile...
Il non trovare il sentiero che sulla cartina è segnato come perfetto, scoprire quanti km mancano all'arrivo, pensare che non ce la fai più e allo stesso tempo confortare chi cammina accanto a te, scoprire che i mezzi pubblici ad agosto non ci sono, attendere distrutti dalla stanchezza l'alba con l'orecchio teso e pensare che quegli otto cuori che dormono accanto a te contano sulla tua prontezza, mangiare minestra in busta e dire che è buonissima, chiamare un amico e chiedere ospitalità, imparare a memoria le fermate della metro, scavalcare la recinzione della parrocchia, vedere i tuoi ragazzi ridere in stazione e non andare a casa, con i genitori che aspettano e non sanno che cosa pensare. E' questa l'esperienza di un capo scout in route e devo dire che ogni volta è un bel mattone da rielaborare, oltre che da vivere momento per momento. Un bel mattone che poi si aggiunge a tutti gli altri che compongono la vita.
Sono tornata, dicevo, e ritrovo quello che avevo lasciato a casa, lì ad aspettarmi, pronto a risalire sulle mie spalle, pronto a prendere il posto dello zaino che ho portato nell'ultima settimana. La cosa non è per nulla confortante, ho davanti a me un anno importante, culmine della mia "scelta" universitaria e test delle mie scelte di vita... ho davanti un anno in cui molte cose andranno a posto o crolleranno del tutto. è molto che aspettavo questo anno, è molto che mi preparo per questo e ora la paura mi sta un po' assediando, sento quella tremarella alle ginocchia che non ti permette di andare avanti.
Però, in questa settimana, dicevo, ho capito una cosa: nulla può essere pre-confezionato alla perfezione in anticipo, e ogni cosa può sfuggire ai tuoi piani. Ed è ora che io impari a vivere questo con serenità, è ora che impari a lasciarmi andare al caso, a fidarmi del sentiero che si apre davanti a me.
Ce la farò, prometto!


vi lascio un pensiero:

Partire è anzitutto uscire da sé. Rompere quella crosta di egoismo che tenta di imprigionarci nel nostro IO. Partire è smetterla di girare intorno a noi, come se fossimo al centro del mondo e della vita. Partire è non lasciarsi chiudere negli angusti problemi del piccolo mondo cui apparteniamo: qualunque sia l’importanza di questo mondo, l’umanità è più grande ed è essa che dobbiamo servire. Partire non è divorare chilometri, attraverso i mari, volare a velocità supersoniche. Partire è anzitutto aprirci agli altri, scoprirli, farsi loro incontro. Aprirci alle idee, comprese quelle contrarie alle nostre, significa avere il fiato di un buon camminatore. È possibile viaggiare da soli. Ma un buon camminatore sa che il grande viaggio è quello della vita ed esso esige dei compagni. Beato chi si sente eternamente in viaggio e in ogni prossimo vede un compagno desiderato. Un buon camminatore si preoccupa dei compagni scoraggiati e stanchi. Intuisce il momento in cui cominciano a disperare. Li prende dove li trova. Li ascolta. Con intelligenza e delicatezza, soprattutto con amore, ridà coraggio e gusto per il cammino. Andare avanti solo per andare avanti, non è vero camminare. Camminare è andare verso qualche cosa; è prevedere l’arrivo, lo sbarco.Ma c’è cammino e cammino. Per le minoranze abraminiche, è mettersi in marcia e  aiutare gli altri a cominciare la stessa marcia per costruire un mondo più giusto e umano. (Dom Helder Camara)

venerdì 30 aprile 2010

Per una corritrice mancata le sane paranoie non mancano mai...

Dunque, dopo molto tempo riesco finalmente a scrivere qualcosa...
E lo spunto mi è piombato in testa l'altro giorno...

Dato che è giunta la bella stagione (o così dovrebbe essere) eccoci nuovamente alle prese con la fisiologica necessità di stare un po' all'aperto, di respirare un'aria diversa da quella chiusa nelle quattro mura in cui viviamo, lavoriamo, studiamo, dormiamo... la necessità di far prendere un po' sole alla nostra pelle bianchiccia dopo un inverno che quest'anno è sembrato infinito... insomma, vogliamo tutti un po' uscire di casa con la bellissima illusione che due tiri di fiato in mezzo al verde e due pallidi raggi di sole possano farci sbocciare come tulipani... e, naturalmente renderci super sexi, dei figoni da combattimento pronti ad armarsi e partire per una bellissima estate... e poi, siamo sinceri fino in fondo, le magliette un po' più strette e leggere ci rendono un po' meno sicuri del nostri fisic durol che durante l'inverno viveva e si moltiplicava al caldo di larghi maglioni e piumini super coprenti...
Naturalmente io non sono esente da tutto questa frizzante voglia di attività fisica tipicamente primaverile e così mi sono attrezzata e sono corsa a darle sfogo...
Per chi vive a Torino c'è un solo luogo in città capace di darci tutte le soddisfazioni del caso: erba verde sempre tagliata a puntino, grandi alberi che danno ombra e danno voce al venticello di aprile, un bel fiume che rende tutto più romantico: il Valentino!
Aaah, che posto delizioso!
Così da questa settimana ho dato il via alle mie frequentazioni con il Valentino. Il primo appuntamento con lui l'ho condiviso con le mie atletiche coinquiline... e tutte e tre ci siamo godute una bella passeggiata.
Al secondo appuntamento sono andata da sola. Sono uscita con la mia tuta, le scarpe da ginnastica e l'Ipod. Ho percorso via Mazzini, via San Massimo ed eccomi nel parco! Tutta gasata, mi sono infilata le cuffie e via... via come il vento... a passeggiare in mezzo ai viali.
Data la bella giornata c'era un sacco di gente: chi studiava coricato nell'erba, chi giocava a pallone, chi faceva correre il cane, un gruppetto di indiani beveva birra di fianco a 4 o 5 donne arabe con pargoli che spettegolavano a tutto spiano...
Eh si, ero proprio goduta!
Dopo aver superato la prima lieve collina, si arriva al lungo fiume con la strada bella larga, i chioschi e il giardino botanico. Qui lo spettacolo era diverso. Ai miei occhi un po' meno poetico.
Un orda di corridori riempiva ogni angolo del mio campo visivo.
E non era una maratona per beneficienza.
Semplicemente un sacco di persone aveva avuto la mia stessa identica idea. Con l'unica differenza che io, notoriamente, non corro.
Dunque, c'era davvero chiunque, dal tipo di mezza età con completino da aerobica anni 80, alla vecchietta vestita come un concorrente di Amici. Dalle amiche trentenni che corrono e tentano di parlare anche se il fiatone le strozza, al papà tutto attrezzato che si è portato dietro il figlio tredicenne tutto attrezzato pure lui. Credo di aver visto anche mamme correre con il passeggino.
Il primo pensiero è stato questo "perchè tutti corrono e io non ci riesco???", invidia pura insomma, accentuata dal gran numero di anziani che mi superava con supponenza.
Poi il mio cervello ha preso il sopravvento.
Ho questo strano vizio di osservare la gente straniandomi completamente.
Quindi davanti a me si sono materializzati tutti i rappresentanti della nostra società che correvano con dei forsennati. Ora capisco che questa frase sia un po' stramba, tenterò di spiegarmi.
Io non amo correre, prima di tutto forse perchè non ci riesco. Il fiatone mi uccide, mi sento ridicola, faccio fatica... e alla fine della fiera, dopo 2 minuti di corsa decido che non ne vale la pena e riprendo a camminare guardadomi in giro.
Chi riesce a correre per km per me è una divinità! Ha tutta la mia stima.
Però c'è una domanda che mi assilla dall'altro giorno: com'è che tutti adesso fanno jogging?
Perchè tutti corrono per tenersi in forma. Esistono miliardi di altri sport o di altre attività, no?
E' una moda o è solo terribilmente divertente e io non me ne sono mai accorta?
Cos'è che spinge persone che lavorano tutto il giorno, che sopportano il traffico e le pressioni quotidiane, che hanno mille pensieri, a scendere al parco e correre? Scaricano la tensione? Anche giocare a calcetto o farsi una partita a tennis avrebbe gli stessi effetti, no?
Io in mezzo a tutta quella gente che mi superava e mi sfiorava a tutta velocità, tutti sudati, accaldati e con il fiatone, non mi sentivo poi così tanto a mio agio.
In natura si corre per due motivi, credo, o si scappa o si insegue.
Quindi mi viene da chiedermi: da chi stiamo fuggendo? oppure, chi stiamo inseguendo? Sentiamo il continuo bisogno di sentirci in competizione con qualcuno o con noi stessi?
Quanti km fai tu? in quanto tempo?
Oppure correndo, mettendoci al passo con quello che succede intorno a noi, riusciamo a ritagliarci un silenzio, un'immobilità, che ci permette di pensare? Correndo riusciamo a sfuggire alla nostra quotidianità che ci insegue?
Non lo so. Io non riesco a fare ne una cosa ne l'altra. E infatti non corro, non sono capace.
Mi aggiro a passo veloce per il parco, guardo gli alberi centenari in fiore, ascolto il discorsi dei bambini con i nonni, rido dei cani che si rincorrono. Mi faccio dei gran film quando vado a camminare al Valentino. E poi muovo le braccia e le spalle sperando che mi basti quello come attività fisica.
E poi osservo decine di miei simili correre e un sacco di pensieri strambi mi saltano addosso: dove stiamo andando?? cosa stiamo facendo??

venerdì 19 marzo 2010

l'attesa

Partire.
Che significa?
Partire è il viaggio, la scoperta, la missione, la libertà.
Partire è vivere là quel che qua non riuscivi, non potevi capire; partire è vedere qualcosa che non pensavi, o non volevi, esistesse. Partire è donarsi e aprire il cuore e gli occhi a un mondo tanto bello ed emozionante da far quasi male.

Ma partire è anche altro.
Partire è l’attesa.
Ore di preparativi, progetti, discussioni, riflessioni… un momento faticoso che sembra dilatare a dismisura la partenza vera e propria.

Chiedersi il perché andare verso qualcosa di sconosciuto che spaventa.
Fermatevi un attimo a riflettere, e piomberete nel panico.
Perché qui?
Perché ora?
Perché io?
Perché, perché, perché…
L’attesa, i dubbi, le ansie.
E il tempo si dilata.
Piccole partenze di ogni giorno in attesa di un viaggio più lungo.

Gli esami, per esempio.
Vi siete mai fermati ad assaporare gli istanti che precedono un esame universitario?
Avete studiato, poco o tanto, ma avete passato tempo sui libri che avreste volentieri dedicato a qualcosa di più gratificante.
Ed ora è arrivato il giorno fatidico.
Zaino, libri, appunti, pullman, cammino fino all’università.
Cammino fino all’università.
Momento strano.
Tanti pensieri, muscoli tesi, sensi attivi e pronti.
Mi fermo o torno indietro?
In fondo c’è la prossima sessione, potrei prepararmi sicuramente meglio. E poi c’è il sole, dovrei essere in giro a sorseggiare una granita con Tizio che mi piace tanto. Ma magari ci provo, tanto che mi frega, al massimo lo ridò. Ma se lo do e va bene me ne prendo 10 granite con Tizio!
1000 dubbi, 8000 perplessità, e tantissima fantasia.
Basti pensare a quanti modi ci inventiamo per copiare, far bigliettini o deviare una domanda del prof. a nostro vantaggio…
I nostri sensi, tutto di noi è concentrato verso quel momento che, purtroppo o per fortuna, sembra non arrivare mai.
E intanto camminiamo.

Bello o brutto che sia, quello è il momento che ci prepara; lo studio è un mezzo, l’esame è il fine, ma nel mezzo, in quegli istanti ci siamo noi.
Tutti protesi, i nostri sensi, i nostri muscoli, ogni fibra del nostro corpo per…
È il momento della scelta.
Mi fermo? Vado avanti? Resto indietro?
Che succederà se? E poi?
L’attesa. La partenza.
Un momento che ci prepara e ci cresce.
E quando siamo davanti al prof., improvvisamente, ci importa meno l’esito.
O la va o la spacca.
Quel che so so.
Al massimo lo ridò.

La tensione si trasforma in emozione.
Siamo arrivati e siamo pronti a metterci in gioco, ma questa volta non è un esame, siamo noi.
Non c’è voto, c’è prospettiva.
Non c’è bocciatura o promozione, c’è crescita.
Ora, il tempo che prima ci sembrava eterno, improvvisamente vola, ci scappa quasi.
Ed è così bello stare al mondo!
E allora scopriamo che non avevamo bisogno di un esame per dirci che le cose le sappiamo. Le sappiamo perché abbiamo studiato, le avremmo sapute anche restando a casa o uscendo a mangiare la granita.
Ma partire è anche questo.
Scoprire là qualcosa che abbiamo dentro, che abbiamo sempre avuto, ma che forse non pensavamo nemmeno di meritarci. La vita.

giovedì 25 febbraio 2010

lettera di una donna albanese a Berlusconi

Come donna non posso che indignarmi e condividere con voi queste parole.

Dalla scrittrice albanese Elvira Dones lettera aperta al premier Silvio Berlusconi in merito alla battuta del Cavaliere sulle "belle ragazze albanesi".
In visita a Tirana, durante l´incontro con Berisha, il premier ha attaccato gli scafisti e ha chiesto più vigilanza all´Albania. Poi ha aggiunto: "Faremo eccezioni solo per chi porta belle ragazze".
Questa "battuta" è passata sottotono in questi giorni in cui infuria la polemica Bertolaso, ma si lega profondamente al pensiero e alle azioni di uomini come Berlusconi e company. Pensieri ed azioni in cui il rispetto per le donne é messo sotto i piedi ogni giorno, non meno gravi (dal punto di vista etico) di quelli dei criminali che sfruttano le ragazze albanesi. Sono solo camuffate sotto gesti galanti o regali costosi.

"Egregio Signor Presidente del Consiglio,

le scrivo su un giornale che lei non legge, eppure qualche parola gliela devo, perché venerdì il suo disinvolto senso dello humor ha toccato persone a me molto care: "le belle ragazze albanesi".
Mentre il premier del mio paese d´origine, Sali Berisha, confermava l´impegno del suo esecutivo nella lotta agli scafisti, lei ha puntualizzato che "per chi porta belle ragazze possiamo fare un´eccezione."
Io quelle "belle ragazze" le ho incontrate, ne ho incontrate a decine, di notte e di giorno, di nascosto dai loro magnaccia, le ho seguite da Garbagnate Milanese fino in Sicilia.
Mi hanno raccontato sprazzi delle loro vite violate, strozzate, devastate. A "Stella" i suoi padroni avevano inciso sullo stomaco una parola: puttana. Era una bella ragazza con un
difetto: rapita in Albania e trasportata in Italia, si rifiutava di andare sul marciapiede. Dopo un mese di stupri collettivi ad opera di magnaccia albanesi e soci italiani, le toccò piegarsi. Conobbe i marciapiedi del Piemonte, del Lazio, della Liguria, e chissà quanti altri. E´ solo
allora -tre anni più tardi - che le incisero la sua professione sulla pancia: così, per gioco o per sfizio. Ai tempi era una bella ragazza, sì. Oggi è solo un rifiuto della società, non si innamorerà mai più, non diventerà mai madre e nonna. Quel "puttana" sulla pancia le ha cancellato ogni barlume di speranza e di fiducia nell´uomo, il massacro dei clienti e dei protettori le ha distrutto l´utero.
Sulle "belle ragazze" scrissi un romanzo, pubblicato in Italia con il titolo "Sole bruciato". Anni più tardi girai un documentario per la tivù svizzera: andai in cerca di un´altra bella ragazza, si chiamava Brunilda, suo padre mi aveva pregato in lacrime di indagare su di lei. Era un padre come tanti altri padri albanesi ai quali erano scomparse le figlie, rapite, mutilate, appese a testa in giù in macellerie dismesse se osavano ribellarsi. Era un padre come lei, Presidente, solo meno fortunato. E ancora oggi il padre di Brunilda non accetta che sua figlia sia morta per sempre, affogata in mare o giustiziata in qualche angolo di periferia. Lui continua a sperare, sogna il miracolo. E´ una storia lunga, Presidente...
Ma se sapessi di poter contare sulla sua attenzione, le invierei una copia del mio libro, o le spedirei il documentario, o farei volentieri due chiacchiere con lei. Ma l´avviso, signor Presidente: alle battute rispondo, non le ingoio. In nome di ogni Stella, Bianca, Brunilda e delle loro famiglie queste poche righe gliele dovevo.
In questi vent´anni di difficile transizione l´Albania s´è inflitta molte sofferenze e molte ferite con le sue stesse mani, ma nel popolo albanese cresce anche la voglia di poter finalmente camminare a spalle dritte e testa alta. L´Albania non ha più pazienza né comprensione per le umiliazioni gratuite.
Credo che se lei la smettesse di considerare i drammi umani come materiale per battutacce da bar a tarda ora, non avrebbe che da guadagnarci.

Elvira Dones

martedì 23 febbraio 2010

ancora questo link e poi giuro che la smetto con l'Iran...

Zahara's Paradise


Un scrittore persiano, un redattore ebreo e un disegnatore arabo collaborano in un progetto interessante. E' una serie a fumetti online a puntate che ripercorre le vicende iraniane dopo le elezioni del giugno 2009 attraveso la storia romanzata di un giovane che partecipa alle proteste con il governo di Ahmadinejad...

So che qualcuno dei "nostri lettori" è appassionato di fumetti, per cui mi è sembrato bello segnalarvi questo che, attraverso il disegno e la rete, porta fino a noi un punto di vista particolare e "originale" delle vicende di uno dei paesi che più saltano alla ribalta delle nostre cronache, spesso superficiali e poco approfondite...
se vi è piaciuto Persepolis di Marjan Satrapi (da cui è stato tratto il lungometraggio omonimo), sicuramente questo vi stuzzicherà...

sabato 13 febbraio 2010

Studiare storia dell'Iran a volte serve...

Vi segnalo questo articolo... se avete un attimo è molto interessante.
Si tratta della fatwa dell'ayatollah Montazeri, esponente del clero islamico sciita riformista, mancato lo scorso dicembre dopo anni di arresti domiciliari nella sua abitazione nella città santa iraniana di Qum. E' significativo quanto questo anziano ayatollah, che partecipò attivamente alla Rivoluzione Islamica del 1979 come delfino di Khomeini, abbia molto da dirci sul ruolo dei governanti e del popolo.

La fatwa di Montazeri


Buona lettura
erika

mercoledì 10 febbraio 2010

pellegrini per caso


Nelle ultime settimane continuo a pensare ad una serie di cose...
Tutto è iniziato quando l'ennesima persona che frequento mi dice che ha deciso di intraprendere il camminodi Santiago. Una persona mi ha ultimamente confidato di voler intraprendere un lungo cammino a piedi... altri hanno passato settimane di ritiro in luoghi impervi...
Sono scout, non è di certo un segreto, per cui non mi è nuova la "spiritualità della strada", non mi è affatto nuova l'importanza dell'essere pronti a partire. Ho sperimentato più volte la fatica come catarsi (catarsi??? di dice così?), il passo dopo l'altro come esercizio spirituale più o meno consapevole, la soddisfazione dell'arrivo alla meta è una delle sensazioni che più preferisco. Questo non lo metto in dubbio, anzi lo pratico e lo predico...
La domanda è: perchè Santiago de Compostela? Perchè tutti lì. Cos'ha di diverso da altre mete?
Perchè Santiago? E non invece la via Francigena verso Roma,rimanendo in tema degli antichi percorsi dei pellegrini medievali? Credo che ci sia un po' moda nella scelta di Santiago come meta di vacanze/viaggi alternativi. Ma sicuramente non è solo questo. La mia idea è che da una parte esiste un buon "pacchetto" condiviso da chi cerca un'esperienza spirituale e dall'altra una necessità reale di pacchetti di questo tipo. Santiago nello specifico rappresenta un buon esempio della versione "spirituale" di questi. Insomma, l'esperienza del pellegrino verso la cattedrale spagnola ha tutto in regola! Il pacchetto che offre consiste di varie componenti. Un lungo sentiero da percorrere a piedi, un lungo tempo in cui misurasi con se stessi, da percorrere in silenzio ascoltando il proprio respiro (che è poi il suono della forza primordiale all'origine della nostra esistenza), ascoltando il dolore dei piedi e delle spalle, osservando il creato. Un lungo cammino in cui si è nelle mani di coloro che si incontrano per strada, di coloro che ci accolgono o che ci respingono, in cui ci si affida al caso (sarà poi il caso?) che ci farà trovare cieli stellati, pomeriggi torridi o violenti acquazzoni... il camminare è da sempre metofara della vicenda umana, di ognuna delle nostre vite. Questo tempo sospeso ci permette di ritrovare quello che nella quotidianità passa inosservato, quello che ci perdiamo per strada... Altra componente è l'arrivo in un luogo "forte" , che si creda nelle reliquie di Santiago o meno. Un luogo in cui rielaborare l'esperienza appena vissuta, in cui tirare le fila e poi ripartire. E qui ci sarebbe da dire diverse cose sull'aderenza di quanto ho appena scritto con le fasi di molti rituali di passaggio (cfr Van Gennep), ma è un'altra storia...
Fatto sta che l'esperienza del pellegrino non è nuova, ha secoli di tradizione e se ne abbiamo ancora memoria e ancora lo pratichiamo, sicuramente il motivo non è futile.
Ma mi viene da pensare che esistono versioni secolari di questa esperienza. I famosi viaggi in Italia dei giovani inglesi in epoca vittoriana possono essere inseriti in esperienze di allontanamento dalla vita comune alla ricerca di un qualcosa che in essa manca. Questo qualche cosa è soggettivo... Il partire oggi per altri paesi, altri continenti, per fare esperienze "nuove", per vivere a pieno la propria vita, per lavoro, per spirito d'avventura, per trovare la propria strada, secondo me, è inseribile benissimo in questa categoria.
Si fanno lunghe ore di aereo per arrivare in Africa a misurarsi con realtà lontane dalla propria, spesso scomode, oppure si parte per gli USA e ci si misura con la propria autonomia, si va in Inghilterra, in Sud America... insomma gli esempi sono molti e in molti condividono il partire o l'essere partiti. Ci si mette in gioco radicalmente e lo si fa lontano dalla sicurezza del nostro mondo quotidiano...
Però mi chiedo, perchè ci si deve allontanare da casa per trovare tutte queste cose? Perchè ne sentiamo la necessità? Io un paio di ipotesi le avrei ma attendo qualche suggerimento...
P.S: Livia, sicuramente, rimarrà delusa da questo post... gliel'avevo anticipato come un po' più "piccante"... mi spiace, sulla parte accesa dei miei pensieri devo ancora meditare...

mercoledì 27 gennaio 2010

MEDITATE CHE QUESTO E' STATO.

In questa particolare giornata ho deciso di pubblicare un testo importante. Lo pubblico oggi per dare un senso ancora più forte alle parole, ma, se posso permettermi, vi consiglio di leggerlo ogni giorno finchè non lo saprete a memoria.

Una poesia simile merita di essere letta e noi abbiamo, a parer mio, il dovere di conoscerla.

Buona giornata...
Livia

Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

Primo Levi, Se questo è un uomo